ANNO 14 n° 120
Peperino&Co.
Quando Viterbo andò
all'Expo di Roma
>>>> di Andrea Bentivegna <<<<
16/05/2015 - 02:01

di Andrea Bentivegna

VITERBO - In queste settimane in cui, tra mille polemiche, la Macchina di Santa Rosa svetta al cento dei padiglioni dell’Expo milanese potrebbe essere interessante ricordare un precedente storico analogo che si verificò più di un secolo fa.

Dobbiamo tornare indietro al 1911 quando, volendo celebrare l’Unità d’Italia, si decise di organizzare tra Roma e Torino una serie di Esposizioni Internazionali Tematiche ed in particolare, nella capitale, si decise di allestire una grandissima rassegna ''etnico-regionale'' nella quale si sarebbero raccontate le peculiarità di ciascuna regione con l’obiettivo di farla conoscere ai visitatori, in un epoca dove i viaggi erano un privilegio di pochissimi e anche solo una fotografia era ritenuta qualcosa di avveniristico.

E così, laddove oggi sorge la centralissima piazza Mazzini, si allestirono in quella occasione decine di costruzioni temporanee che riproducevano, a grandezza naturale, alcuni degli edifici più significativo delle città italiane. Tra queste, naturalmente, anche Viterbo, che fu rappresentata attraverso un suggestivo, quanto immaginario, scorcio medioevale in cui si riproduceva la fontana di Piano Scarano al centro di un’ipotetica piazza le cui quinte erano la Casa Poscia e il palazzo di Valentino della Pagnotta.

L’architettura viterbese veniva così riassunta in tutti i suoi tratti simbolici: c’era una splendido profferlo, quello della Casa Poscia di via Saffi, senz’altro una degli esempi più riusciti di questa tipologia unica nel suo genere, c’era quindi l’elegante loggia del XIII secolo del palazzetto di Valentino Pagnotta che è invece quel piccolo edifico che sorge in piazza del Duomo sul lato opposto rispetto alla loggia papale e, infine immancabile, la fontana, elemento centrale per l’assetto urbano di Viterbo, che qui viene riproposta attraverso le forme austere di quella di Piano Scarano.

Particolarmente curiosa è la vicenda di quest’ultima: la riproduzione dell’antica opera trecentesca, col suo caratteristico fusto di peperino nel quale sembrano quasi intagliati quattro leoni, non fu smantellata al termine dell’esposizione come avvenne per tutti gli altri padiglioni ma, visti anche gli apprezzamenti che aveva raccolto, conservata e salvata. Nel 1926 poi, l’architetto Camillo Palmerini, uno dei più validi assistente di Innocenzo Sabatini all’interno dell’Istituto Case Popolari, sceglie di collocarla, la copia ovviamente, nel cortile del palazzo di piazza Tuscolo, al civico 5 (quartiere Appio), dove, ancora oggi, è possibile ammirare quindi un frammento di Piano Scarano nel cuore di Roma.

Insomma, l’Esposizione è sempre, anche a distanza di un secolo, una irrinunciabile occasione o vetrina, come spesso la si definisce, dove far conoscere la nostra città eppure è curioso osservare come, nel lontano 1911, si scelse di ricreare un contesto urbano tipico che non fosse vero ma quantomeno verosimile quando invece proprio in queste settimane un po’ per tutti è stato evidente quanto la Macchina di Santa Rosa pagasse la mancanza di un contesto adeguato alla sua storia e alla sua tradizione.





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